Con San Vincenzo è arrivata anche la vendemmia, sa binnenna. Un periodo molto particolare per nonno Evandro, che già settimane prima diventava impaziente, ma poi quando arrivava il momento non vedeva l’ora che finisse.
Quest’impazienza pervadeva, un po’, ogni aspetto della sua vita e si declinava in modi apparentemente diversi e sempre molto particolari: se doveva acquistare la legna per alimentare il camino d’inverno, lo faceva a giugno; se mia nonna si lamentava di qualcosa, tipo l’albero di susine che perdeva troppe foglie, lui lo faceva tagliare; se comprava un’anguria enorme andava finita quasi all’istante e non smetteva di offrirla finché non terminava.
Per la vendemmia, preparava tutto l’occorrente molto tempo prima e chiedeva aiuto ad amici e parenti, in modo che per la raccolta fossero in tanti e si finisse in tempi ragionevoli.
La consuetudine era che ci si aiutasse a vicenda: si torranta s’aggiudu
Quando nonno Evandro era giovane spesso si lasciava l’uva nella vigna per tutta la notte e la si portava in paese l’indomani, col carro. Ovviamente si stava in vigna tutta la notte per controllare che nessuno la rubasse.
Da bambina anche io ero impaziente di partecipare alla vendemmia: era una festa, una grande riunione di famiglia.
In quell’occasione si poteva addirittura saltare la scuola senza essere rimproverati dalla maestra.
Mi viene un po’ di nostalgia, se penso alle cose che noi bambini degli anni Ottanta potevamo fare e che ora ci sarebbero assolutamente precluse, per questioni di sicurezza. Usavamo le forbici da giardiniere per tagliare l’uva, ma peggio ancora salivamo sul rimorchio del camioncino, già carico di ceste d’uva, per tornare in paese.
Dopo la vendemmia si organizzava un grande pranzo e la festa proseguiva con la pigiatura.
Ricordo ancora l’odore inconfondibile del mosto e le mie nonne che facevano sa saba, da usare prevalentemente per i dolci natalizi.
La vendemmia andava cominciata e finita tutta nello stesso giorno, e per farlo ci volevano almeno sei persone che tagliassero i grappoli spogliando in fretta i filari lungo la linea della collina. I Bastíu partivano quando il sole non si era ancora deciso, e anche le figlie di Anna Teresa Listru partivano con loro, perché il vino poi lo si divideva. La vedova Listru ci doveva fare il miracolo di Cana, era solita dire quando lo vendeva ai vicini. “Gesù Cristo faceva vino dall’acqua, e io faccio pane dal vino”.
Maria aspettava per tutta l’estate che la chiamassero ad aiutare, perché le piaceva fare a gara con Andrìa. Non si sapeva mai di preciso quando la vendemmia sarebbe cominciata, perché era il vecchio cieco Chicchinu Bastíu a dire qual era il momento giusto, cioè esattamente il giorno prima che si sentisse nell’aria l’odore dell’uva pronta a far mosto. I nipoti lo portavano al campo tutti i giorni, e lui solenne annusava a occhi chiusi il vento lieve che venendo dal mare sfiorava la vigna. Nell’onda d’aria che scuoteva le foglie e frugava tra le pieghe fitte dei grappoli, il vecchio sosteneva di percepire la voce del vino che doveva nascere, come una levatrice esperta.
Michela Murgia, Accabadora (2009)
COLONNA SONORA
Il brano che mi ha accompagnata durante la scrittura è A Walk in the Clouds di Maurice Jarre