Halloween si avvicina e io rifletto sul fatto che da bambina non ne conoscevo l’esistenza.
Ho iniziato a scoprire questa ricorrenza ai tempi dell’università, nella seconda metà degli anni ’90.
Da allora si è diffusa sempre di più e, mentre c’era chi polemizzava sul fatto che fosse una tradizione americana (che poi in realtà ha origini celtiche) da condannare, nonno Evandro mi spiegava che in Sardegna esisteva qualcosa di molto simile.
Una tradizione antichissima che a Orroli era stata quasi dimenticata: is animedhas, al mio paese, o su mortu mortu, in altre zone dell’isola.
Io non ne avevo mai sentito parlare, perché si trattava di una tradizione molto diffusa fino alla prima metà degli anni sessanta.
Nonno mi spiegò che aveva lo scopo di onorare i defunti e le loro anime.
Se Halloween si festeggia il 31 ottobre, is animeddas si sposta in avanti di un giorno, alla vigilia tra Ognissanti e il giorno della commemorazione dei defunti.
La mattina dell’1 novembre, dopo la messa, i bambini andavano in giro per il paese, bussando nelle varie abitazioni per chiedere un’offerta.
Seu beniu po is animedhas
Si dhas fait is animedhas?
Sono venuto per le anime.
Ci da qualcosa per le anime?
E io, grazie ai racconti di nonno Evandro, riuscivo a immaginare i miei nonni, i miei genitori e i miei zii da bambini che in quell’occasione rappresentavano le anime dei defunti le cui pene sarebbero state placate attraverso i doni ricevuti: mele cotogne, melagrane, castagne e frutta secca, ma anche patate o ciò che si aveva in casa.
E mentre i bambini andavano di casa in casa, gli adulti preparavano la cena, spesso a base di fave e ceci, per le anime dei propri cari che quell’unica volta all’anno si ricongiungevano con le loro famiglie.
Si diceva infatti che in quella data si aprissero le porte del regno dei morti e che le anime dei defunti tornassero tra i vivi.
Si lasciava la tavola apparecchiata per tutta la notte e le candele accese affinché le anime fossero in grado di ritrovare la strada di casa.
Quando nonno era bambino, questa ricorrenza diventava anche un’occasione per i poveri del paese di fare un po’ di provviste per l’inverno: andavano di casa in casa a chiedere qualcosa per le anime e intanto, grazie alla generosità di chi stava meglio, ricevevano legumi, castagne, formaggi, carne, zucchero e frutta secca.
Nella prima zona del Tartaro si trova la triste Prateria degli Asfodeli, dove le anime degli eroi vagano senza mèta tra la turba dei morti meno illustri che svolazzano qua e là come pipistrelli, e dove soltanto Orione ha ancora cuore di cacciare ombre di daini. Ciascuna di loro preferirebbe vivere come servo di un umile contadino anziché soggiornare come sovrano nel Tartaro. Unico loro piacere è bere il sangue delle libagioni offerte dai vivi: poi si sentono ancora uomini, almeno in parte.
Robert Graves, I miti greci (1963)
COLONNA SONORA
Il brano che mi ha accompagnata durante la scrittura è Creep dei Radiohead