Sono cresciuta a Orroli, dando per scontata la presenza, intorno a me, di ben quaranta nuraghi.
Ho vissuto i miei primi diciannove anni guardando ogni mattina Su Nuraxi de Sa serra, il nuraghe Sa serra, che, mi vergogno a dirlo, ho visitato solo un mese fa.
Perché quando le cose sono vicine e facilmente raggiungibili le dai per scontate, pensando che ti ci potrai dedicare ogni volta che vorrai, lasciando poi passare anni.
Il nuraghe ha sempre fatto parte del mio vissuto, per me è sempre stata una struttura assolutamente ordinaria, e per questo priva di curiosità.
Proprio perché ordinario è passato inosservato ai miei occhi per decenni, finché mio figlio, mentre si parlava di andare al Nuraghe, per tutti il Nuraghe Arrubiu, l’unico e il solo, ha invece proposto quello dietro casa.
Il Nuraghe Sa Serra, o ciò che ancora si vede, dista poche centinaia di metri da casa dei miei genitori e dal centro abitato.
Al momento, è facilmente individuabile a colpo d’occhio perché è sormontato da un’enorme e discutibile croce in metallo, che lo rende visibile da quasi ogni angolo del paese.
Oltre ad essa si vede poco altro, se non i cespugli di macchia mediterranea che ormai hanno inglobato il complesso.
Il nuraghe, interamente realizzato in basalto, è quadrilobato: è costituito da una torre centrale, a base circolare, da quattro torri, poste agli angoli e unite da cortine a formare un bastione di forma quadrangolare, e da un ampio cortile.
Non lasciavamo altre tracce che i nuraghe, le navi di bronzo di Urel di Mu e i piccoli uomini cornuti, guardiani dell’isola, che molti fecero imitando Mir. Nessuno sapeva leggere e scrivere. Passavamo sulla terra leggeri come acqua.
Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri (1996)
COLONNA SONORA
Il brano che mi ha accompagnata durante la scrittura è Su Nuraghe di Indaco