Le mie nonne

Ho sempre saputo, sin da piccola, che le mie nonne erano completamente diverse tra loro. Da bambina quella diversità mi appariva quasi stonata. Crescendo mi sono resa conto che se avessi messo insieme le migliori qualità dell’una e dell’altra sarebbe venuto fuori un mix quasi perfetto.

Nonna Anna, la mia nonna materna, è sempre stata molto accogliente, gentile e affettuosa, ma anche schiva, superstiziosa, rispettosa delle tradizioni e completamente votata alla famiglia.

Limitava il più possibile le occasioni di svago. Non è mai stata spensierata, temendo che provare gioia le avrebbe portato tristezza. Per lei il cibo era essenzialmente fonte di nutrimento. Non ricordo che avesse mai fatto una torta in casa. Non amava farsi fotografare, non era mai andata al mare ed era molto fiera della sua carnagione così chiara da far invidia anche a Biancaneve.

Mi diceva sempre che se avesse abitato in città avrebbe usato la borsetta e messo il rossetto.

Nonna Gelasia era distaccata, poco incline alle dimostrazioni d’affetto e a tratti arrogante. Non temeva di essere offensiva e quindi diceva quasi sempre ciò che le passava per la testa. Chiunque avesse davanti, che fosse anche il prete o il sindaco, diceva sempre ciò che pensava. Ha sempre amato le riunioni di famiglia e per lei il cibo era espressione della convivialità. Se penso a lei la ricordo intenta a trascrivere le nuove ricette in un’agendina rossa, salvo poi realizzarle utilizzando come unità di misura il suo cantu nd’arricidi, l’equivalente del “quanto basta”.

Ha sempre cucinato cose deliziose: dalla gallina ripiena, ai ravioli fatti in casa, passando per le melanzane alla parmigiana. Ho sempre adorato le sue patate fritte e su pani indorau, pane bagnato nell’uovo e poi fritto.

Tra i dolci che le venivano più buoni c’erano su pan’e saba, su gatò e la torta alle mandorle.

Era molto brava anche nella preparazione del pane e nella lavorazione de su pani biancu, il pane che si preparava prevalentemente per i matrimoni e le occasioni speciali.

Anche se abitava in paese usava la borsetta, sebbene non usasse il rossetto, e amava il mare, soprattutto fare i “bagni di sabbia” che, a suo dire, erano un toccasana per le sue ossa malandate.

Quando Lucia Spada aprì l’imposta al tiepido sole del mattino, svelò uno scorcio di tetti e comignoli e una striscia azzurrina di mare che brillò simile a una preziosa distesa di diamanti. In quella parte di città era tutto uno sventolare di panni stesi ad asciugare e c’era sempre un viavai di gente, perché li vicino c’era la cattedrale e la discesa del mercato non era lontana. Quello era il cuore alto della città, da dove si vedeva il mare e tutti i velieri che lo solcavano in arrivo e in partenza. L’aria era tutta un’altra cosa da quelle parti, piena degli odori marini, delle case e delle vie intricate.

Vanessa Roggeri, Il cuore selvatico del ginepro (2013)

COLONNA SONORA
Il brano che mi ha accompagnata durante la scrittura è Frosti di Bjork

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