Da bambina amavo tantissimo la primavera e aspettavo l’equinozio con trepidazione: per me era uno spartiacque tra quella parte dell’anno che non amavo particolarmente e quella che invece adoravo.
La primavera aveva per me diversi significati: si avvicinava la fine della scuola e l’inizio delle vacanze, il giardino di casa mia e la campagna circostante fiorivano in un tripudio di colori e profumi. Tutto intorno a me era più armonioso e io mi sentivo in pace col mondo. Tutto questo finché avevo più o meno ventiquattro anni.
Il 21 marzo del 2003 è cambiato tutto. Dopo poco più di sei mesi di malattia, è venuta a mancare mia zia Lucia, figlia di nonno Evandro e sorella di mia madre. Non aveva ancora compiuto quarantaquattro anni.
Da quel momento in poi l’inizio della primavera ha smesso di essere per me simbolo di pace e armonia.
Cia, così la chiamavamo, incarnava il modello di zia che ogni nipote vorrebbe avere. Era gentile, affettuosa, amorevole e adorava i bambini. Era anche grazie alla sua presenza che amavo tanto trascorrere le mie giornate a casa di nonno Evandro e nonna Anna quando ero bambina.
Quest’anno, a vent’anni dalla sua morte, l’equinozio di primavera è passato per me inosservato. Non ero felice e non ero triste. Il giorno dopo ho realizzato che mia zia non c’è più da venti lunghi anni. Mi sono sentita in colpa, nonostante pensi a lei costantemente.
Il senso di colpa è diventato poi consapevolezza di ciò che si sente dire quando si perde una persona cara: che il dolore piano piano si attenua lasciando spazio solo ai bei ricordi. In realtà è vero, ma mi ci sono voluti venti lunghi anni. Anni in cui era doloroso sentire un profumo, una parola o vedere un luogo. Anni che sembravano non passare mai.
Cammino lungo la sera
tra i fiori della campagna,
lasciando sopra la strada
l’acqua della mia tristezza.
Sulla cima solitaria
un cimitero di paese
sembra un campo seminato
con tanti chicchi di teschi.
Sono fioriti i cipressi
come teste gigantesche
che con orbite svuotate
e verdognoli capelli
contemplano l’orizzonte
meditabondi e dolenti.
Divino aprile, che vieni
colmo di sole e di essenze,
riempi con nidi d’oro
tutti quei teschi in fiore.
Federico Garcia Lorca, Canzone primaverile (28 marzo 1919)
COLONNA SONORA
Il brano che mi ha accompagnata durante la scrittura è il Notturno N. 1 di Chopin – Maurizio Pollini