Quando ero bambina amavo il periodo pasquale ed ero affascinata dai rituali della settimana Santa. Le mie nonne erano molto credenti e me ne parlavano spesso.
Del giovedì Santo mi incuriosiva la lavanda dei piedi, benché non ne capissi il significato. Andavo in chiesa con mia madre e aspettavo di vedere il sacerdote che, con la brocca e l’asciugamano, si chinava per bagnare e poi asciugare i piedi dei chierichetti.
Il venerdì Santo mi divertiva aspettare, fuori dal vicoletto in cui abitava nonno Evandro, il passaggio dei ragazzini che suonavano su stroci arranas. Uno strumento che produce un rumore simile al gracidare delle rane e viene usato al posto del rintocco delle campane per richiamare i fedeli in chiesa. La tradizione vuole, infatti, che le campane non vengano suonate alla morte di Gesù. Inoltre, mi piaceva partecipare alla via crucis per le strade del paese. La consideravo un’occasione di incontro ed era stupefacente vedere come i miei compaesani si prodigassero per addobbare le varie stazioni.
Il sabato Santo ero attratta dalla benedizione del fuoco. Si celebrava la sera, nel piazzale della chiesa e aveva un non so che di magico. Il giorno di Pasqua era una festa partecipare alla processione, s’incontru, che culminava con l’incontro tra Gesù e la Madonna. Dopo la messa si andava a pranzo a casa di nonna Gelasia che era solita preparare pranzetti deliziosi.
Ignorando la distinzione tra sacro e profano, aggiungevo a questi rituali anche la scampagnata del lunedì dell’angelo.
Per un lungo periodo, fare il pic nic è stata una tradizione familiare. Quando ero molto piccola organizzavamo con le sorelle di nonna Anna e le rispettive famiglie. Ho dei ricordi un po’ vaghi ma alcune immagini sono rimaste impresse nella memoria. Ricordo i luoghi come fossero immersi in un’atmosfera quasi incantata. La complicità tra mia nonna e le sue sorelle, la loro abitudine di servire il cibo come fossero in casa e soprattutto di insistere affinché tutti mangiassero in abbondanza.
Quando sono diventata più grande, abbiamo iniziato a trascorrere il lunedì dell’Angelo con i cugini di mio padre. Si creava un gruppo molto numeroso, c’erano tanti bambini, più o meno miei coetanei, e mi divertivo tantissimo.
Non ricordo bene quando abbiamo smesso di fare il pic nic a Pasquetta, forse quando ero adolescente. Non so se da quel momento in poi non mi piacesse più, fatto sta che non l’ho più fatto per quasi trent’anni. Avendo sempre equiparato i rituali religiosi al pic nic, ho perso interesse anche per quelli.
Da allora in poi sono passata attraverso una lunga fase di indifferenza e successivamente di ribellione nei confronti di tutto ciò che riguardava la Chiesa e i suoi rituali, ma ad un certo punto ho capito che potevo anche essere critica senza privarmi di ciò che faceva parte di me sin da bambina.
Quest’anno ho partecipato con mio figlio alla celebrazione del giovedì Santo con la lavanda dei piedi e sono tornata indietro nel tempo, a quando ero bambina e ci andavo con mia mamma: il sacerdote era lo stesso di quando avevo circa sei anni, e forse è stato quello che ha fatto in modo che avvenisse la magia.
Nehljudov aveva stabilito il suo itinerario in modo da trascorrere dalle zie solo ventiquattr’ore, ma, dopo aver visto Katjuša, acconsentì a fare lì la Pasqua, che cadeva due giorni dopo, e telegrafò al suo amico e compagno Schonbock, col quale doveva incontrarsi a Odessa, perché anche lui passasse dalle zie […] in Nehljudov, nel corso di quei due giorni, fino a Pasqua avvenne un’incessante lotta interiore, a lui ignota. Nel profondo dell’animo sapeva che doveva andarsene e che non c’era motivo ora per rimanere dalle zie, sapeva che non poteva venirne fuori niente di buono, ma la situazione era così gioiosa e piacevole che lui non si disse niente e rimase.
Lev Tolstoj, Resurrezione (1899)
COLONNA SONORA
Il brano che mi ha accompagnata durante la scrittura è La Resurrezione di Georg Friedrich Händel