Se penso ai festeggiamenti del primo maggio di quando ero piccola mi vengono in mente pesci rossi, cocorite e scimpanzé.
Capisco che possa sembrare strano: il massimo che si possa abbinare al primo maggio è la processione di Sant’Efisio o il concerto di Piazza San Giovanni in Laterano a Roma.
Io, invece, da bambina, il primo maggio andavo con i miei genitori alla Fiera della Sardegna, a Cagliari. Per me era una festa, perché c’era veramente di tutto.
Il mio chiodo fisso erano gli scimpanzé: ne volevo uno a tutti i costi e ossessionavo i miei genitori affinché me ne comprassero uno.
Loro, ovviamente, hanno sempre evitato, ripiegando sui pesci rossi. Una volta mi hanno comprato anche una cocorita.
Era verde e bellissima. Un giorno mi dissero che era scappata. Solo da adulta ho immaginato la fine che potesse aver fatto, ma non ho mai chiesto conferma. Ancora oggi preferisco illudermi che sia scappata.
Se ci penso ora rabbrividisco all’idea degli animali in gabbia, ma negli anni ottanta purtroppo era normalissimo.
Alla fiera si trovava di tutto: rettili, uccelli e pesci tropicali e addirittura scimpanzé.
Ricordo di aver visto una serie TV con protagonista uno scimpanzé e ne ero rimasta affascinata.
Sognavo di averne uno e di portarlo a spasso: il massimo sarebbe stato uscire con il mio scimpanzé mano nella mano. Per fortuna è rimasto un sogno.
La mattina del primo maggio ricordo perfettamente l’entusiasmo prima della partenza, il traffico cittadino che precedeva l’arrivo in viale Diaz e la fila all’ingresso per fare i biglietti.
La prima cosa che notavo al nostro arrivo erano i palloncini gonfiati ad elio: i miei genitori me ne compravano sempre uno quando stavamo andando via.
Le tappe obbligatorie erano il reparto animali, quello dei fiori, di cui era appassionata mia mamma, la zona luna park e la zona cibo.
Ricordo che al luna park adoravo la casa stregata, che non riusciva a spaventare neanche una fifona come me. All’ora di pranzo mangiavamo sempre il panino col wurstel e le cipolle, che per me è ancora uno dei cibi più buoni.
Di anno in anno ci dicevamo sempre che l’anno successivo saremmo andati a Cagliari a vedere la processione di Sant’Efisio che, mi vergogno a dirlo, ho visto per la prima volta dal vivo dopo i trent’anni.
La guidai lentamente attraverso la pioggia sul selciato di ciottoli. Il chiosco dei fiori c’era ancora. Sulla piazza c’erano poche persone. […] Allora, c’è ancora il chiosco? Si, cioè, no, non è più un chiosco. È un grande rimorchio, una specie di camper, verniciato di bianco, a due piani, quanto di più moderno dal punto di vista tecnico, arredato con acquaio inox, frigorifero, spiedo, griglia per le salsicce, friggitrice. Quella specie di camper non era neanche lontanamente paragonabile al vecchio chiosco con tre assi in croce della signora Brucker e alle sue padelle di ghisa. Due currywurst. L’uomo prese una salsiccia, la mise dentro una macchinetta e da sotto sbucarono delle rondelle. Poi ci mise l’altra.
Uwe Timm, La scoperta della currywurst (1993)
COLONNA SONORA
Il brano che mi ha accompagnata durante la scrittura è Factory di Bruce Springsteen