Memoria collettiva

La mia passione per i ricordi mi ha portato, soprattutto recentemente, ad imbattermi sempre di più nella memoria collettiva, alla ricerca di racconti che riguardassero la mia famiglia di origine.

Ho già parlato della cugina di nonna Anna, Ester, per tutti tzia Sterina: una donna minuta, dal viso dolce e dallo sguardo vivace. Non conoscevo molto della sua vita, se non le cose che ricordavo direttamente, finché sono incappata improvvisamente in tanti dettagli, senza che li stessi cercando.

Era la figlia di tzia Efisia e tzieddu, fratello maggiore di mio bisnonno materno, Niccolò Orrù. Erano molto poveri. Tzieddu lavorava in campagna, alla giornata, e ogni tanto cacciava lepri e pettirossi. La moglie, invece, tesseva e vendeva i suoi prodotti alle feste paesane, dove andava a piedi. Ma si sa, per vendere occorre essere un po’ sfacciati e lei non lo era. Quando stava per vendere qualcosa c’era sempre una venditrice più sfrontata di lei che si accaparrava il cliente.

Abitavano in un tugurio. La casa era minuscola e aveva il pavimento in terra. C’erano tre stanze e un solaio basso, a cui si accedeva con una scala in legno, da appoggio. La cucina, nonostante fosse molto piccola, ospitava anche il maiale. Attigue alla cucina c’erano una stanzetta, senza finestra, di dimensioni paragonabili ad uno sgabuzzino, e una camera da letto.

Quando tzia Sterina si è sposata è rimasta ad abitare con i genitori che le hanno ceduto l’unica camera da letto, per andare a dormire nel minuscolo disimpegno, privo di aerazione, che permetteva l’ingresso al solaio.

Tzia Efisia aveva avuto tanti figli ma, a parte tzia Sterina, non ne era sopravvissuto neanche uno. Si dice che fosse sempre triste e non sorridesse mai. In casa loro si mangiava prevalentemente pane duro, fatto soprattutto di crusca. Tzieddu lo divideva a metà e lo bagnava con l’acqua e poi lo faceva asciugare nel muretto del cortile. Nonostante la povertà era molto generoso e il poco che aveva lo condivideva con tutti i membri della famiglia. Era un uomo buono e affettuoso e le pronipoti lo chiamavano Tzieddu spinosu, perché aveva sempre la barba lunga.

Da anziano è rimasto a lungo senza pensione. Il genero lavorava all’ufficio di collocamento e tentò di fargliela ottenere, ma siccome era iscritto al partito comunista, e per l’epoca non era un vanto, decise di rifiutare l’offerta, perché era molto religioso.

Il marito di tzia Sterina non era molto gentile con i suoceri e si dice che non lo fosse molto neanche con lei. Quando è morto aveva solo sessant’anni: ha avuto un infarto in chiesa, luogo che frequentava abitualmente perché da circa un anno aveva iniziato a fare il sagrestano. Dopo la parentesi da comunista sfegatato era diventato fascista. Era irascibile e per niente generoso, e il cibo che comprava o gli regalavano non lo condivideva con nessuno, men che mai con i suoceri.

Poi restano parole, come geografie che non si sanno pronunciare, e primavere che noi sappiamo non vedremo mai più, ma che i primi di noi raccontarono ai secondi e i secondi ai terzi: enormi fiori raccolti oltremare seccati fra le pagine di un libro.

Marcello Fois, Stirpe (2009)

COLONNA SONORA
Il brano che mi ha accompagnata durante la scrittura è Per Un Vecchio Bambino di Roberto Vecchioni

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: